🍉#28 Das ist keine Wassermelone*
In Germania la critica ad Israele non ha cittadinanza e tutto è ridotto ad "antisemitismo". Ma è un bene per la causa ebraica?
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Anche oggi non parliamo direttamente di religione o di fede, ma di idee e di libertà di parola, di come si sta all’interno di una comunità democratica e come si lotta per quello che si ritiene giusto. I pericoli sono dietro l’angolo in un caso come nell’altro ma mettere la testa sotto la sabbia, può mai essere la soluzione?
Fine del prologo, cominciamo!
*(Questa non è una anguria)
Il 26 luglio scorso Matteo Menapace ha vinto - insieme al suo collega e coautore Matt Leacock - il prestigioso Kennerspiel Des Jahres, il premio che viene dato ogni anno ai giochi “avanzati”, all’interno della più ampia cerimonia degli Spiel Des Jahres, cioè il “Gioco dell’Anno” tedesco. La Germania ha una fortissima tradizione ludica e un mercato interno nell’ambito del gioco da tavolo davvero molto sviluppato. Alcuni degli autori e dei giochi più giocati negli ultimi 30 anni nei tavoli di tutto il mondo sono tedeschi. Alla fine della cerimonia, mentre tutti pascolavano felici attorno al buffet qualcuno si è accorto che Matteo Menapace, sulla maglietta, aveva un adesivo di una anguria. Apriti cielo. Ma perché?
🎲 Non soltanto un gioco
Mi affiderò alle parole di Franco Sardo apparse su Culture Wars, il sito di Davide Piacenza:
Una premessa forse scontata, ma spero utile: da tempo l'anguria, e in particolare l’emoji della sua fetta, è diventata un simbolo pro-palestinese. I motivi sono molteplici: a seguito della Guerra dei sei giorni del 1967 la bandiera palestinese è stata proibita da Israele fino agli accordi di Oslo del 1993, perciò i sostenitori della causa araba si dovettero inventare qualcosa per contrastare il divieto. Il frutto della cucurbitacea venne scelto per i colori bianco, rosso, verde e nero, che ricordano chiaramente quelli della bandiera palestinese; inoltre pare che proprio l'anguria fosse diffusamente coltivata nei territori occupati.
A questo si aggiunge che dopo il 7 di ottobre il simbolo, già diffuso tra chi solidarizza con la sorte dei palestinesi, è divenuto ancora di più un simbolo di protesta/solidarietà/resistenza. Ma tutto quello che è accaduto è accaduto in Germania, un paese che nello stesso periodo ha innalzato in maniera piuttosto violenta l’asticella di cosa sia dicibile e cosa no negli spazi pubblici tedeschi. Un concorso importante, riconosciuto e pubblico come lo Spiel Des Jahres ha avuto un effetto paradossale: il ban permanente di Menapace dalla competizione.
A conseguenza di ciò, attraverso un comunicato, l'organizzazione dello Spiel des Jahres ha dichiarato Matteo Menapace ospite non più gradito (una formula simile, tra le altre, a quella che venne destinata al regista Lars Von Trier dopo le sue dichiarazioni, ben più sconvolgenti, rese al Festival di Cannes nel 2011 – anche se poi vi tornò nel 2018).
Il caso ha già coinvolto anche l'editore del gioco, che nei commenti sui social ha tenuto a sottolineare la sua estraneità nei confronti delle idee di Menapace, il quale come da copione ha ricevuto sostegno o biasimo a seconda degli orientamenti. Vale la pena sottolineare come il gioco per cui Menapace, insieme al più noto collega Matt Leacock, ha vinto il premio, Daybreak, riguarda la necessità di coordinare gli sforzi delle potenze mondiali per impedire il collasso climatico: un tema quindi eminentemente politico.
🚫 Solo l’ultimo caso
Questa decisione del Premio è solo l’ultima di una lunga serie di inibizioni ben più gravi di quelle capitate al nostro concittadino (peraltro il primo italiano a vincere) che almeno non si è visto revocare il premio, non così è andata a politici e intellettuali che sono stati a tutti gli effetti - e in vario grado - censurati dalle autorità politiche, accademiche e culturali tedesche a proposito del loro pensiero circa le politiche di guerra e di gestione dei territori di Gaza e Cisgiordania prima e dopo il 7 ottobre. Dall'inizio del nuovo conflitto è stato impedito l'accesso stesso al paese all'ex-ministro dell’economia greco Gianis Varoufakis, a cui viene impedita anche la partecipazione virtuale ad eventi pubblici in Germania, così come è stato revocato il premio Hannah Arendt alla scrittrice queer (di origini ucraino-ebraiche) Masha Gessen. Similmente è stato ritirato l'invito a tenere un ciclo di lezioni alla filosofa femminista Nancy Fraser.
Il giornalista e attivista Michael Sappir, ebreo israeliano trasferitosi in Germania, su Micromega spiega come la censura sia iniziata da tempo:
Nel 2019, il Bundestag ha approvato una risoluzione anti-BDS (acronimo di Boycott, Divestment and Sanctions: Boicottare, Disinvestire, Sanzionare, ndr) non vincolante, invitando le istituzioni a non dare spazio a chiunque possa essere lontanamente associato al movimento di boicottaggio. Questo modello di silenziamento, che è aumentato costantemente sotto forma di censura e autocensura, ha subito un’accelerazione dopo il 7 ottobre.
Di conseguenza, artisti, giornalisti e accademici che si sono espressi contro Israele hanno perso il lavoro; un evento dopo l’altro è stato cancellato e gli spazi per il dibattito e l’espressione libera sono scomparsi a un ritmo vertiginoso. Gli eventi presi di mira tendono a non essere direttamente collegati a Israele-Palestina; è sufficiente che uno degli invitati abbia espresso simpatia per i palestinesi.
Anche essere ebrei ma critici con Israele non sembra essere una garanzia sufficiente per non essere accusati di antisemitismo:
Con una svolta allarmante, dare una piattaforma agli ebrei che criticano Israele è diventata una scusa per i politici tedeschi per minacciare le istituzioni culturali. È il caso di Oyoun, un centro culturale gestito da migranti, che si è rifiutato di cedere alle pressioni politiche e di cancellare l’evento per il ventennale del gruppo ebraico antisionista Jüdische Stimme a novembre. Il ministro della Cultura di Berlino, Joe Chialo, ha rescisso il contratto del centro con il governo della città, chiudendo di fatto Oyoun, con l’accusa di “antisemitismo nascosto”.
In fondo questo è quanto avvenuto anche a Masha Gessen, come riporta il sito culturale Lucy:
L’intellettuale russa-statunitense Masha Gessen (persona transgender non binaria che usa, in inglese, i pronomi neutri they-them) aveva vinto il premio Hannah Arendt del 2023 per il pensiero politico. L’onorificenza, che include un compenso di 10 mila euro, è indetta dal 1994 dalla città di Brema e dalla fondazione Heinrich Böll, organizzazione che è espressione politico-culturale del partito dei Verdi tedeschi.
In seguito a un articolo di Gessen del 9 dicembre pubblicato sul «New Yorker», la fondazione Böll e la città di Brema si sono però, in un primo momento, ritirate dalla consegna del premio. Il passaggio incriminato del pezzo di Gessen – che è di famiglia ebraica che ha subito le persecuzioni naziste ed è stata vittima dell’Olocausto – era questo:
Come nei ghetti ebraici dell’Europa occupata, non ci sono guardie carcerarie: Gaza non è sorvegliata dagli occupanti ma da una forza locale. Presumibilmente, chiamarla con il termine più appropriato, ghetto, avrebbe fatto esplodere polemiche per il paragone tra la difficile situazione degli abitanti di Gaza assediati e quella degli ebrei ghettizzati. Ma ci avrebbe anche dato una parola per descrivere ciò che sta accadendo a Gaza in questo momento. Il ghetto viene liquidato.
Come da comunicato della fondazione, l’elemento “non accettabile” era il fatto che che Gessen implicasse che “l’obiettivo di Israele è liquidare Gaza come un ghetto nazista”. Decisiva si è quindi rivelata l’equiparazione tra nazismo e azione dello Stato di Israele.
In Germania i paragoni con i crimini del nazionalsocialismo sono un tabù persistente e totalizzante: suggerire somiglianze del genere significa, nello Stato tedesco del dopoguerra, negare l’eccezionalità della colpa nazista. Il concetto di “Verharmlosung” (“minimizzazione” o anche “relativizzazione”) dei crimini nazisti può avere una natura legale nel Paese ed è stato utilizzato più volte per contrastare la propaganda dell’estrema destra e i suoi rigurgiti antisemiti.
😵💫 Tra complesso di colpa e accuse di antisemitismo agli ebrei
La Germania vive un complesso di colpa nei confronti dell’Olocausto che può essere comprensibile, l’attenzione alla tutela di Israele è parte del processo risarcitorio: da persecutori a strenui difensori. Il tema da un lato è la totale equivalenza tra ebraismo e sionismo, l’altro l’impossibilità - magari di fronte alle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia - di dover prendere le distanze da una politica che sempre più paesi (difficilmente tacciabili di pregiudizio contro Israele) giudicano iniqua nei confronti dei palestinesi. E questo non muove di un millimetro - è bene ripeterlo - il biasimo verso l’attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre, ma non vale nemmeno un momento di benevolenza nell’accettare ogni spiegazione di IDF come se fosse oro colato.
L’evento a cui doveva andare Varoufakis era il cosiddetto “Congresso sulla Palestina” che doveva tenersi il 12 aprile di quest’anno era organizzato da varie associazioni tra cui Jüdische Stimme cioè ebrei israeliani per la pace in Medio Oriente. Tutto è stato sgomberato dalla polizia:
“I poliziotti hanno fatto irruzione nella sala e sono saliti sul palco -racconta ad Altreconomia Udi Raz, che è cittadino di Israele ma da anni vive a Berlino ed è un membro di Jüdische Stimme-, io ero seduto nel pubblico quando un amico mi ha fatto notare che i poliziotti dal palco mi stavano indicando, ridendo della mia kippah. Quando ho affrontato il poliziotto, e ho detto che lo trovavo antisemita, mi hanno arrestato”. Continua Udi: “Sono stato trattenuto per due ore per aver dato dell’antisemita a un poliziotto, il che è piuttosto eloquente: la polizia aveva appena interrotto un evento organizzato da un’associazione ebraica, e poi, chi altri se non noi, in quanto ebrei, ha il diritto di definire che cosa sia l’antisemitismo e come affrontarlo quando lo subiamo?”.
L’equivalenza tra sionismo ed ebraismo butta fuori dal discorso pubblico tutti gli ebrei non sionisti e tutti gli ebrei pro-Israele ma contro le sue politiche. Un assurdo. Eppure questa è la condizione del dibattito pubblico in Germania mentre si sta svolgendo una delle operazioni militari più cruente nell’ambito dei danni alla popolazione civile, perfino peggiore per molti aspetti alla vile invasione russa in Ucraina. Ecco quel tipo di doppiopesismo che molti paesi del cosiddetto “Terzo Mondo” non sopportano più, ma anche noi stessi europei o occidentali non dovremmo più sostenere nella misura in cui vogliamo portare avanti un dibattito razionale e libero tanto sul diritto di Israele ad esistere in modo sicuro, quanto a quello dei palestinesi di avere un loro stato territorialmente integro che sia rifugio inviolabile per la propria popolazione.
Di antisemitismo ho parlato qui (solo per abbonati)
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📖 Consigli di lettura
🤌 l’Italia di Meloni è «una navicella alla deriva nel mare post-cristiano che è diventata la società occidentale». In mezzo a questo oceano tempestoso agitato da guerre culturali d’importazione, essa mantiene una rotta fragile, in equilibrio su una corda tesa e con poco spazio di manovra: quanto potrà resistere? Un articolo di un anno fa di Le Grand Continent ma ancora molto utile e interessante.
🇨🇳 Sempre sulla Meloni, ma stavolta in salsa cinese. Il giornale Bitter Winter, che ha al suo cuore la lotta per i diritti umani e religiosi nel mondo e in Cina in particolare chiede alla Presidente del Consiglio come mai nel suo viaggio a Pechino non abbia mai parlato delle violazioni cinesi ai diritti dell’uomo.
🫶 Siamo arrivati alla fine di questa newsletter, spero ti sia piaciuta. Dammi un feedback se puoi ma soprattutto - se questo mio lavoro ti piace - fai conoscere ai tuoi amici questo progetto, vuoi? Intanto alla prossima a tra due settimanae!
interessante!
ma anche impressionante, sì