🕍#34 La questione dell'antisemitismo dopo il 7 ottobre
Il punto di vista di un giovane di famiglia ebraica che è anche uno scienziato sociale e un attivista, Bruno Montesano
📬Questa è Sacro&Profano, la newsletter che ogni settimana ti fa capire due o tre cose sul mondo attraverso le lenti della religione, senza essere confessionale.
Il campo del “dicibile”, cioè quello che si può dire in società, quello che non ti farà apparire come una scheggia impazzita non ha necessariamente a che fare con la censura, ma è una discriminante del discorso pubblico. Anzi è per l’appunto il discorso pubblico. Nessuno vieta a nessuno - se non l’umana decenza - di insultare una categoria in privato, diverso è scriverlo sui social, su un giornale, urlarlo in piazza, questo è quello che molti chiamano “politicamente corretto”. Il dicibile è parlare ad esempio di austerità e di ragionare del suo superamento. In alcuni circoli mainstream è quasi peggio che farsi insultare la madre. Anche discorsi relativi alla questione palestinese spesso cadono sotto questa scure, appena appena ammantata da una generica umana pietà. Se aumenta il grado di critica alla condizione di Gaza e Cisgiordania ecco che si devono rammentare tutti gli errori (parecchi), i crimini (altrettanti) e le iprocrisie (a iosa) del mondo arabo. E poi si sa che è colpa di Hamas. Questo blocco preventivo della critica è in parte comprensibile e fisiologico: l’opinione pubblica non vive nelle aule accademiche dove i problemi vengono affrontati in maniera diversa. Non che siano scevri di bias sia chiaro, ma almeno sui fatti si concorda abbastanza. Nel circo(lo) mediatico un po’ l’ignoranza di molti colleghi e ospiti, un po’ l’idea di dover parteggiare sempre e comunque - come se qualcuno di dotato di senno potesse mai davvero solidarizzare con un gruppo terroristico - anche a costo di negare ogni coinvolgimento di Israele nella condizione dei palestinesi fa naufragare il 99% degli articoli e dei talk su questi argomenti e impedisce di nominare le cose: colonialismo, occupazione, crimini di guerra, genocidio. Nominarle per capire se sono adatte innanzitutto, anche lì non per partito preso. Da questo angolino sperduto un tassello in questa direzione vorrei metterlo, per la mia coscienza e per dare un senso a questo progetto.
Fine del prologo, cominciamo!
Bruno Montesano, classe 1995, romano di nascita, torinese in questa fase della sua vita mentre sta svolgendo un dottorato di ricerca in Mutamento sociale e politico, collabora con il quotidiano comunista “Il Manifesto” e con la rivista “Gli Asini”. Ha curato la raccolta di saggi "Israele Palestina. Oltre i nazionalismi” (edizioni E/O). Da tempo seguo Bruno sui social e la pacatezza e al contempo la puntualità delle sue argomentazioni mi hanno convinto ad intervistarlo ritenendolo un osservatore credibile e soprattutto, per il suo essere un giovane ebreo, “parte in causa” del discorso, vale a dire: cosa possiamo dire e cosa è corretto - nel senso di verificato, verificabile, attinente e logico - dire a proposito di una serie di questioni ancora oggi sul tavolo dell’attualità: rapporto tra Israele e i vicini, rapporto tra Israele e l’ebraismo, il rapporto tra l’ebraismo e le società in cui è inserito. In mezzo a tutto questo il nostro - sempre presente, sempre evocato, a volte interiorizzato - antisemitismo.
Bruno, parto dalla fine della tua attività di militante, di ebreo e di sociologo: in un tuo recente articolo sul Manifesto hai parlato della difficoltà oggi di poter usare propriamente la categoria dell’antisemitismo, da un lato per il suo abuso (ogni critica a Israele diventa automaticamente odio per l’ebreo) dall’altro per il suo uso mascherato (mi dichiaro pro-semita solo per vomitare il mio odio anti islamico). Come si è creato questo cortocircuito?
Il cortocircuito deriva dalla sovrapposizione tra un’identità di maggioranza (quella ebraico israeliana) e una storicamente perseguitata, di minoranza (quella ebraica). Su questo piano viene costruita poi una strategia retorica che confonde le carte ed è volta a reprimere chi solidarizza con la Palestina. Su questo carro, inoltre, salgono i postfascisti per legittimarsi come non razzisti mentre attaccano le altre minoranze europee. Al contempo, casi di antisemitismo reale esistono, anche a sinistra, e sono aumentati.
La Comunità ebraica italiana a differenza di quella statunitense (ben più grande) sembrerebbe non essere attraversata dalla divisione sul tema dell’occupazione di Gaza e Cisgiordania e anzi sembrerebbe – anche per le frequentazioni di molti dei suoi leader – molto orientata nel campo “conservatore” al punto di trovarsi più a proprio agio con un partito che quasi rivendica la propria appartenenza alla storia del (post)fascismo e in cui alcuni dirigenti più anziani sono stati pupilli di Almirante, piuttosto che con partiti - come ad esempio - il PD che pure non ha mai realmente messo in discussione nulla dell’assetto della regione (mai un embargo, mai un voto contro all’ONU). Eppure, non solo qui le comunità si sentono più sicure sotto le (ultra)destre.
Non è così, il dibattito c’è, posti i numeri infinitamente diversi. In Italia si parla di 30.000 ebrei, in USA 6.3 milioni, in Francia 440.000 e Inghilterra 300.000. Detto ciò, al ’82 con la guerra in Libano, tradizionalmente si fa risalire la spaccatura tra ebrei e sinistra andata sempre peggiorando. Ma ciò avviene parallelamente alla società italiana e forse, se vogliamo, globale. Il quadro slitta a destra. Certo il dissenso che attraversa la comunità ebraica italiana è sottotraccia, non abbastanza vocale. Ma per quanto io non sia d’accordo con molte delle cose che Sinistra per Israele – che non è un’associazione ebraica ma ha diversi ebrei al suo interno - dice o fa non si può dire che abbiano le stesse posizioni della presidente delle Comunità italiane Di Segni, o di chi è ancora peggio come Riccardo Pacifici. C’è stato poi l’appello Mai indifferenti a Milano il 27 gennaio, le azioni e testi del Laboratorio ebraico antirazzista (che assieme a Emergency, Assopace Palestina e Mediterranea) ha raccolto 160.000 firme, poi portate a Mattarella. Certo servirebbe un centrosinistra ebraico meno timido e più vocale.
Ad ogni modo, il centro sinistra del PD è sostanzialmente filoisraeliano, almeno nella sua maggioranza parlamentare, anche se con Schlein ci sono state posizioni più critiche. E Boldrini, ad esempio, invece ha audito delle ong palestinesi che il governo israeliano ha bollato come terroristiche. La sinistra radicale invece ha dei problemi più seri di antisemitismo. Non solo qui ma anche in Francia e UK. Si identificano gli ebrei con il colonialismo bianco, la ricchezza, il capitalismo. Sono considerati una minoranza privilegiata – cosa anche vera, ma sempre minoranza rispetto alle minoranze dei paesi in cui vivono. È l’antisemitismo degli imbecilli come disse Bebel e un anticolonialismo rozzo, non articolato. Intendiamoci, motivi per essere ferocemente critici con Israele ce ne sono, ma gli argomenti spesso – non sempre, ci mancherebbe – risultano antisemiti. Ad ogni modo l’accusa indiscriminata di antisemitismo avvelena i pozzi. Dire “dal fiume al mare” non ha nulla a che fare con l’antisemitismo se ci si riferisce all’eguaglianza tra ebrei e palestinesi ora negata da uno stato di apartheid. Altro conto è se significa che 7.5 milioni di ebrei debbano sloggiare. È un luogo comune falso e sciocco che tutti gli ebrei abbiano una doppia cittadinanza. Criticare Israele in quanto stato ebraico invece ha senso perché l’identità ebraica non è trasferibile come quella di altre nazioni come quella italiana - anche se pure questa ruota intorno ad un implicito referente razziale.
Posto che il 7 ottobre è stato un momento non di lotta partigiana, ma di terrorismo puro e semplice, esso non mi pare abbia messo in luce – dopo un anno – una serie di contraddizioni nell’opinione pubblica internazionale: non riuscire a dare profondità alla vicenda, sembra quasi che fino al 6 i rapporti fossero idilliaci o meglio, accettabili per Israele e dunque accettabili per l’Occidente, dall’altra anche la nascita di Israele si è basata sul terrorismo, e lo stesso Likud ne è erede, non credo che nessuno abbia mai chiesto al primo ministro Yitzhak Shamir, già leader della Banda Stern, di ripudiare le bombe, né nessuno oggi in Israele (mi pare) ne chiede una revisione storica dell’operato. Doppio standard?
Tutti gli stati nascono nella violenza. Charles Tilly li chiama racket organizzati. Sant’Agostino si chiedeva: “Togliete la giustizia, e cosa sono i regni, se non grandi brigantaggi?”. C’è poi la nota frase per cui i terroristi sarebbero i rivoluzionari che non vincono. Il fondo violento della nascita delle nazioni è sempre taciuto. Anche su questo Israele non mi pare un caso particolare.
Gli ebrei oggi sono più al sicuro? E le minacce arrivano da sinistra o da destra? E in eguale misura? “Israele-Palestina. Oltre i nazionalismi” che hai curato per le edizioni e/o che cos’è, come si sviluppa? Quale testimonianza ti ha colpito di più?
Rileggevo della raccolta che ho curato il pezzo di Arielle Angel, direttrice di Jewish Currents, rivista fondata da ebrei comunisti statunitensi a metà anni ’40. Angel riflette sulle ambivalenze del 7 ottobre, liberazione per i palestinesi, massacro per gli ebrei. Si chiede come tenere insieme i due pezzi. Luigi Manconi ragiona sull’impossibilità di gerarchizzare le vittime. La storica Maria Grazia Meriggi critica il nazionalismo in Israele e Palestina. La giornalista Anna Momigliano riflette sull’apartheid sudafricano e il colonialismo di insediamento israeliano. La scrittrice Widad Tamimi sull’uccisione di Hayim Katsman, attivista e studioso antisionista ammazzato il 7 ottobre. Il professore Asef Bayat risponde a Habermas denunciando la follia repressiva tedesca che usa l’accusa di antisemitismo come una vera e propria clava. La scrittrice Hala Alyan denuncia il doppio standard con cui vengono trattati – e quindi disumanizzati – i palestinesi. Il filosofo Mario Ricciardi riprende Camus per proporre un punto di vista cosmopolitico. La studiosa Sarah Parenzo racconta la sinistra religiosa israeliana. Apre la raccolta una mia introduzione sul problema della nazione e sulle prospettive non identitarie che auspico. In chiusura ci sono due comunicati del Laboratorio ebraico antirazzista.
🍉#28 Das ist keine Wassermelone*
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La tua è una identità plurima, come quella di tutti naturalmente, ma che comprende anche il fatto che sei ebreo, nato e cresciuto in una famiglia ebraica. Come hai vissuto gli eventi del 7 ottobre? E come vivi da studioso la questione del conflitto israelopalestinese? Ti senti più sicuro o meno in questo tempo in cui apparentemente la politica è tutta pro-Israele? L'antisemitismo di sinistra è una cosa che esiste o un artificio retorico buono per delegittimare una parte politica?
Il 7 ottobre non ho capito subito cosa stesse succedendo. Certo i mesi successivi mi hanno assorbito molto. Non è stato facile muoversi tra i due problemi che diceva Angel, ossia tra il polo del pogrom e quello dell’azione anticoloniale. Così come, quando Israele ha iniziato i suoi crimini contro l’umanità bombardando e poi invadendo e tagliando cibo, acqua e rifornimenti non è stato facile non impazzire anche per il fatto che del 7 ottobre interessasse solo alla destra e non anche alla mia parte politica. Ma la priorità era un’altra: favorire la fine di quello che la Corte di Giustizia ha reputato plausibile configuri un genocidio.
Grazie
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📖 Consigli di lettura
Quattro consigli di lettura, due dai giornali nazionali, uno dalla newsletter di Stefano Feltri, ex Direttore di Domani e uno sul blog di Luca Sofri, direttore del Post.
📰 Roberto Calasso è stato uno dei più importanti intellettuali italiani. Se non lo conoscete è perché non era un tipo mediatico, ma il suo impatto sul pensiero e la riflessione filosofica, politica e religiosa nel nostro Paese è stato enorme non fosse altro perché è stato il patron e editore di Adelphi, che pubblica da oltre 40 anni alcuni degli autori più importanti del mondo. Già per questo suo contributo, pensato e ragionatissimo, gli dobbiamo molto. A questo si aggiunge una personale ricerca lunga quanto la sua attività di editore come saggista-romanziere. Questo articolo di Avvenire parla dell’ultimo libro “Opera senza nome”, dell’autore-editore scomparso nel 2021.
📰 L’impegno umanitario per “riportare a casa” i bambini ucraini deportati in Russia, la necessità di arrivare a una pace “giusta e stabile”. L’incontro tra papa Francesco e Volodymyr Zelensky, il terzo dall’invasione russa dell’Ucraina, ha registrato una convergenza tutt’altro che scontata nei mesi passati. Un resoconto di Repubblica:
Zelensky, sempre più consapevole che una trattativa sia necessaria, apprezza l’impegno del Vaticano. Nei mesi scorsi ha concesso sia a Parolin che a Zuppi l’onorificenza dell’Ordine al merito “per il significativo contributo personale al rafforzamento della cooperazione interstatale, al sostegno della sovranità statale e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, alla divulgazione dello Stato ucraino nel mondo”. In Vaticano c’è consapevolezza che in patria il presidente ucraino affronta sia problemi di governo che un calo di popolarità, ed ha per questo rinunciato a certe puntigliosità dei mesi passati. “Non è lo stesso Zelensky di Sanremo”, il commento laconico che riecheggia in Curia, quando il presidente ucraino parlava di vittori
Sul tema anche questa newsletter che vi consiglio di seguire:
📰 C’è un editoriale di Luca Sofri - peraltro direttore del Post - sul suo blog che credo meriti di essere letto, innanzitutto perché a scriverlo è un liberale moderato (sia detto senza alcun giudizio) come Sofri:
Israele non è più Israele, né per sé né per il resto del mondo. Quello che ha fatto è non inaccettabile – parola insignificante, che presuppone che a Israele gliene freghi qualcosa di quello che accettiamo -, è imperdonabile. Ne aveva fatte, di pessime, nella sua storia, come molti stati: come il nostro, che nessuno ha mai chiesto di cancellare malgrado abbia prodotto un regime e delle persecuzioni così ignobili che hanno persino dato il nome stesso a un tipo di regimi e persecuzioni. [...] Imperdonabile per quello che ha fatto agli altri, imperdonabile per quello che ha fatto a se stesso, imperdonabile – in fondo alla lista – per quello che ha fatto a noialtri. Perché si redima – si redima il suo governo e le gran parti del suo popolo che lo hanno legittimato e sostenuto e lo sostengono – serviranno decenni, se mai sceglierà di farlo. Mi pare impensabile, al momento (Wittgenstein).
🫶 Siamo arrivati alla fine di questa newsletter, spero ti sia piaciuta. Dammi un feedback se puoi ma soprattutto - se questo mio lavoro ti piace - fai conoscere ai tuoi amici questo progetto, vuoi? Intanto alla prossima settimana!
davvero interessante!